giovedì 20 dicembre 2012

ATACCO ALLA NUOVA ERA


20 DICEMBRE 2012:NOTA SU "LA REPUBBLICA":

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Il mondo contro Google:è la grande guerra 2.0

 Sfruttamento di risorse altrui, abuso di posizione dominante, guerra con il fisco di mezzo mondo.
Sono i capi d’accusa contro il colosso di Mountain View.Senza contare i sospetti sul motore di ricerca, “taroccato” per favorire prodotti della casa e aziende che pagano la pubblicità.
 E il popolo di Internet insorge di MAURIZIO RICCI

  Lo leggo dopo


"SCROOGLED", cioè fottuti da Google, proclama il sito da Microsoft, accusando i rivali di confondere pubblicità e informazione. Per la compagnia cresciuta con lo slogan "Don't be evil", non essere cattivo, è un vero schiaffo in faccia. Eppure, l'ennesima scaramuccia fra maschi alfa nel branco dei leader dell'informatica, oggi, è solo una scena di contorno.

Il duello vero, stavolta, è altrove e chiama in causa governi, istituzioni, parlamenti, consumatori e, un po', anche le nostre illusioni di adepti del web. Perché in ballo c'è l'anima dell'utopia della Rete. Il terreno dove Google si confronta con sospetti e accuse, infatti, è il nuovissimo etere informatico, ma la materia è antica. John Rockefeller, la Standard Oil e il capitalismo di rapina di fine '800 ci si sarebbero trovati perfettamente a loro agio: sfruttamento di risorse altrui, abuso di posizione dominante, occupazione forzosa di territori, guerra di corsa con il fisco. Sono capi d'accusa a cui Google reagisce con veemenza.

Veri o no che siano, però, sono pesanti e illustrano la parabola di quelli che, una volta, erano i missionari di Silicon Valley: da start-up miracolo ad aziendaboom, da strumento geniale a presenza universalmente necessaria su qualsiasi computer. Fino a diventare titolari di quella che a molti appare, per ora, l'unica miniera d'oro del web: la pubblicità. Dalle celebrazioni e dai ringraziamenti si è così arrivati ai sospetti e alle accuse. Negli Usa, in Germania, in Francia, in Italia, in Brasile, in Gran Bretagna. A Mountain View devono pensare ad un assedio: il mondo contro Google. Perché alcune di quelle accuse, come quelle sul fisco disinvolto, toccano altre multinazionali, da Amazon ad Apple a Starbucks. Ma solo nel caso di Google i diversi duelli in corso toccano anche il cuore stesso del business, le leve fondamentali dei profitti.

Oltre il 90 per cento dei 50 miliardi di dollari che Google ha incassato quest'anno viene dalla gestione della pubblicità. Detto in termini più espliciti, i 45 miliardi di dollari arrivano dalla capacità di monetizzare i risultati delle ricerche che qualche miliardo di utenti fa sul proprio computer. Perché Google si trova nella posizione eccezionale di guardiano della porta del web, l'unico o quasi che ha la chiave per aprirla.

I due terzi delle ricerche sul web negli Usa, ma ben il 90 per cento in Europa avvengono attraverso gli algoritmi di Mountain View: sono loro a decidere cosa la stragrande maggioranza degli utenti troverà in rete e in quale ordine. E, di fianco a quei risultati, Google è in grado di mostrare annunci pubblicitari specificamente collegati. State facendo una ricerca sulle origine del mito di Minosse? Bene, ecco gli annunci sui soggiorni turistici a Creta. Tutto qui? Non esattamente.

La campagna appena lanciata da Microsoft al grido di "Scroogled!" attacca specificamente Google Shopping, il sito di e-commerce del gigante californiano, dove gli annunci che appaiono, se voi digitate, ad esempio, la parola "bicicletta", sono esclusivamente annunci pubblicitari a pagamento. Google ribatte che la cosa è apertamente dichiarata e che riguarda solo il sito di e-commerce. Per tutto il resto, valgono rigorosamente i risultati, assolutamente neutrali, delle formule matematiche dell'algoritmo, senza favori per nessuno. O, invece, sì? Dell'algoritmo di Google si sa assai poco e cambia anche, inevitabilmente, abbastanza spesso.

Ma c'è chi dubita della sua neutralità. Nessun utente sano di mente arriverà mai oltre pagina 3 di una ricerca su Google e la graduatoria con cui escono i link è, dunque, cruciale. Il sospetto è che il motore sia taroccato e, nelle graduatorie, finisca per favorire sistematicamente i collegamenti a servizi dello stesso Google: si tratti di Gmail o di Google Maps o, soprattutto, di Google Product Search, con i suoi bilancini di confronto prezzi.

Il problema, per Google, è che dubbi e sospetti sulla purezza dell'algoritmo hanno raggiunto anche i custodi della concorrenza, dalle due parti dell'Atlantico. La Federal Trade Commission, da una parte, la Commissione europea, dall'altra, hanno lanciato due indagini antitrust parallele su Google, per abuso di posizione dominante. Mountain View ha, per ora, tamponato il pericolo e giungerà, probabilmente, ad un accordo. Ma il dossier-concorrenza, ormai, è aperto e Google rischia, prima o poi, un esame indiscreto sui suoi algoritmi e sui loro meccanismi.

Lo Spiegel ha recentemente documentato alcuni casi singolari che si verificano su Google Maps, da quando l'azienda californiana ha raggiunto un accordo con la compagnia ferroviaria nazionale tedesca, Deutsche Bahn, per offrire, con le mappe, anche percorsi ferroviari. Se, ad esempio, volete viaggiare da Cottbus a Goerlitz, nell'est del paese, vi sentite offrire un lungo tour, con cambio di treno in una stazione polacca, per un totale di 4 ore 32 minuti. Non una parola - a quel 90 per cento di internauti che si rivolge a Google - sul fatto che, servendosi di un concorrente privato di Deutsche Bahn, lo stesso tragitto può essere percorso in un'ora, senza scendere mai dal vagone.

Le indagini sull'abuso di posizione dominante e su supposte manipolazioni alla neutralità dell'algoritmo di ricerca sono, probabilmente, le insidie più velenose che Google ha di fronte, perché ne corrodono il brand e l'immagine. Ma non sono le uniche. Un altro attacco internazionale al ruolo dominante del motore di ricerca di Larry Page e Sergei Brin viene dagli editori dei giornali. Ai quali, disperatamente a caccia di introiti, non piace affatto che Google News, insieme ai link agli articoli più importanti, pubblichi anche - gratis - brevi riassunti dei contenuti dell'articolo.

In Brasile, per protesta, gli editori hanno abbandonato in massa il motore di ricerca, negandogli i propri articoli. In Germania e in Francia, invece, hanno investito politici e governi della difesa del diritto d'autore. Il risultato è che il braccio di ferro fra chi difende la libertà e la completezza di informazione della rete e chi rivendica il pagamento dei contenuti, pena la sparizione degli stessi, verrà, probabilmente, regolato per legge. Berlino (seguita a ruota da Parigi) si prepara a stabilire che Google News non potrà postare collegamenti agli articoli, a meno di non versare un compenso agli editori. Sotto pressione, nei giorni scorsi, in Belgio, Google è venuta a patti con i proprietari dei giornali.

Ma è un intero modello che arriva in discussione: Google ne è l'esempio più vistoso, anche perché è l'azienda che meglio l'ha plasmato secondo i propri interessi. Tuttavia, i guai di Google non sono legati solo al travaglio della nascita del mondo digitale. Ci sono anche crucci più ordinari, anche se, non per questo, meno pesanti, come quelli con il fisco. Qui, Google è in buona compagnia con altre multinazionali, ma rischia di diventare il simbolo del problema: il mistero miracoloso di come, su un fatturato miliardario, sia possibile pagare pochi spiccioli, senza frodare nessuna legge.

Negli Usa, Google paga il 21 per cento di tasse sui propri redditi, in Europa più o meno lo 0,2 per cento: poco più di 20 milioni di euro su un fatturato di 12,5 miliardi di euro. Come è possibile? Nel caso di Google, l'operazione di sparizione del reddito tassabile avviene in due fasi. La prima si svolge a livello nazionale. Google Italia, ufficialmente, si occupa solo di marketing e qualsiasi soldo gli arriva in cassa viene rapidamente girato alla sua controllante irlandese. Ma la Finanza non ci sta. Secondo le Fiamme Gialle, quei soldi, infatti, sono frutto di vendita di pubblicità ad utenti italiani, su suolo italiano, da parte di operatori Google italiani: va dunque tassata. La Finanza calcola che, solo fino al 2006 (prima cioè del boom del business di Google) la società abbia nascosto reddito tassabile per 260 milioni di euro ed evaso Iva per 96 milioni di euro. Un attacco analogo è in corso in Inghilterra, in Germania e in Francia. A Parigi si parla già di una bolletta fiscale (sanzioni comprese) di 1,7 miliardi di euro per i maghi del software di Mountain View.

Ma questo è solo un pezzo del miracolo tributario di Google e neanche il più importante. Il prodigio della sparizione delle tasse è reso possibile dall'allungamento della catena societaria e dal "panino olandese", che i documenti ufficiali preferiscono chiamare "pianificazione fiscale aggressiva". Anche se non vengono tassati in Italia o in Francia, infatti, i soldi di Google finiranno pure da qualche parte. E questo è il punto. O, meglio ancora, il punto è il cammino che percorrono.

Proviamo a ricostruire la catena, partendo da Mountain View. Google cede i diritti sul suo software e la sua tecnologia ad una società che controlla, Google B, che sta in Irlanda, ma ha sede fiscale a Bermuda, nei Caraibi. Google B li trasferisce a Google C, che sta in Olanda. Google C a Google D che sta, di nuovo, in Irlanda (è la seconda fetta del panino, con in mezzo il formaggio olandese). Non è il gioco dell'oca, ognuno di questi passaggi è fondamentale. Alla fine, Google D mette al lavoro Google E, in Italia o in Germania. Ora, seguiamo i soldi, che ripercorrono al contrario la catena. Google E gira i suoi incassi, aggirando la Finanza, a Google D, che è il braccio operativo. Questa paga i diritti a Google C, in Olanda: siccome è un altro paese Ue, non ci paga tasse.

Ma la legge olandese consente di trasferire, pagando una modesta commissione, i profitti a Bermuda. Dove non esistono tasse sulle società. Oplà, il gioco è fatto: sgradevole per l'immagine della "new economy", ma perfettamente legale. Anche se, forse, non più per molto. A Bruxelles, la Commissione Ue ha deciso di scendere in campo contro triangolazioni fiscali, come quella di Google con l'Olanda o di Amazon con il Lussemburgo. A Mountain View se ne faranno una ragione: non sta scritto da nessuna parte che "Don't be evil" non si applichi anche alla cartella delle tasse.(19 dicembre 2012) © Riproduzione riservata

COMMENTO:UN ATTACCO COSI MASSICCIO,GENERICO,COSTANTE E ACCANITO SU GOOGLE ALTRO NON FA PENSARE CHE SI PUNTA ALLA "NUOVA ERA" DI QUI GOOGLE E' L'AVANGUARDIA. E MALGRADO LE MIE CRITICHE A CERTA POLITICA IMPRENDITORIALE PIU DI UNA VOLTA SEGNALATA IN QUESTE PAGINE LE OSTILITA VERSO GOOGLE SONO DIVENTATE COSI COMUNI E SEMPRE PIU VIRULENTI CHE NON POSSO FARE A MENO DI SEGNALARLI.
CHE L'ATTACCO SIA ALLA "NUOVA ERA" PIU CHE A GOOGLE POTREBBE CONCLUDERSI INDIVIDUANDO LE SUE ORIGINI:ALCUNI PROVENGONO DALLA POLITICA E SONO SIA DALL'ESTERNO,IN QUESTO CASO L'UNIONE EUROPEA COME PRIMA ERA STATO L'AMMINISTRAZIONE OBAMA E ANCORA LA CINA E PERFINO L'ONU(CERTE PAESI LI RAPRESENTATI)SOLO PER MENZIONARE I PIU EVIDENTI;ALTRI PROVENGONO DALL'INTERNO,E NON E' DEL CASO RIPETERE ORA CERTE MOSSE DEL SUO EX NUMERO UNO ERIC SCHMIDT.
ALTRE OSTILITA CONTRARIE ALLA NUOVA ERA-GOOGLE PROVENGONO NATURALMENTE DELLE PROPIE TELECOMUNICAZIONI E NON E' DIFFICILE INDIVIDUARE CHE INTERESSI POTREBBERO VEDERSI BENEFICIATI:DA UNA PARTE L'EX PIU GRANDE AZIENDA DELLE TELECOMUNICAZIONI,CIO'E' MICROSOFT CHE HA VISTO DECLINARE LA SUA EGEMONIA DELL'ERA ELLITISTA DELL'INTERNET SUI SUPPORTER FISSI E CABLATI, A MANO DEL TELEFONO MOBILE SENZA FILI;E DALL'ALTRO,COME NON POTREBBE ESSERE ALTRIMENTE,LA PROPIA INDUSTRIA DEL PC.

NON HO VOLUTO ADESSO FARE UNA DIFESA NE UN ANALISI ESSAURITO DEI GUAI DI GOOOGLE-AZIENDA CHE QUESTE PAGINE NON HANNO NE FINE DI LUCRO NE COMPROMESSO CON NESSUNO,MA SOLO PUNTARE IL DITO SUGLI AVVERSARI DELLA "NUOVA ERA" E I SUOI CONCETTI SIA NELLA TECNOLOGIA DELLE TELCOMUNICAZIONI CHE NELLA SUA VISIONE DEL MONDO,ORMAI EGEMONICA.

-VEDI LO STESSO SCRITTO CUA:

FATTI INTERNI    ( http://espace.canoe.ca/dtgiuseppecianci/blog/view/937749  )

-IL GIORNO DOPO:LA NUOVA ERA ESSONERATA

NOTA SUL CORRIERE DELLA SERA:
corte d'appello di milanoVideo del ragazzo disabile picchiato, 
assolti i tre manager di GoogleIn primo grado erano stati condannati a 6 mesi per violazione della privacy: la sentenza fece il giro del mondo

Un frame del videoMILANO - La corte d'appello di Milano ha assolto «perché il fatto non sussiste» i tre manager di Google imputati per violazione della privacy in relazione al video, caricato in rete, che mostrava un minorenne disabile insultato e vessato dai compagni di scuola. In primo grado David Carl Drummond, ex presidente del cda di Google Italy e ora senior vice presidente, George De Los Reyes, ex membro del cda di Google Italy e ora in pensione, e Peter Fleischer, responsabile delle strategie per la privacy per l'Europa di Google Inc., erano stati condannati a 6 mesi (pena sospesa) per violazione della privacy. Il collegio ha confermato anche l'assoluzione che era già arrivata in primo grado per il quarto imputato, Arvind Desikan, responsabile del progetto Google video per l'Europa, che rispondeva solo di diffamazione (caduta anche l'accusa di diffamazione per gli altri tre manager).
IL PRECEDENTE - La sentenza di primo grado emessa nel febbraio 2010 aveva fatto il giro del mondo perché si trattava del primo processo a livello internazionale per pubblicazione di contenuti sul web che vedeva tra gli imputati dei responsabili di un provider di internet. Le condanne erano state criticate dall'ambasciata Usa a Roma e anche dalla stampa statunitense perché erano ritenute una sorta di censura alla libertà del web.
IL VIDEO - Il filmato che ritraeva un minorenne sottoposto ad angherie ed insulti da parte dei compagni di classe di un istituto tecnico di Torino era stato caricato su Google video l'8 settembre del 2006 e rimase, cliccatissimo, nella sezione «video più divertenti» fino al 7 novembre, quando fu rimosso. Nelle scorse udienze i familiari del minore disabile avevano ritirato la querela nei confronti dei dirigenti di Google, in cambio di un risarcimento in denaro. Successivamente è uscita dal processo tra il primo e il secondo grado anche l'associazione «Vividown». Anche in questo caso non è noto l'ammontare della somma pagata da Google.
LE REAZIONI - «Assoluta soddisfazione, ma nessuna sorpresa; onestamente la condanna si basava sul nulla», sono state le prime parole dell'avvocato Giulia Bongiorno, legale dei tre manager. L'avvocato ha spiegato che «i controlli ci sono, ma non competono a Google», non è stato riconosciuto cioè una sorta di «maxi controllo», non c'è questo ulteriore obbligo, come per esempio per un direttore di un giornale. Il Policy Manager di Google Italia, Giorgia Abeltino, ha commentato: «Siamo molto felici che la decisione di primo grado non sia stata confermata e che la Corte d'appello abbia riconosciuto l'innocenza dei nostri colleghi. Anche in questo frangente, il nostro pensiero va al ragazzo e alla sua famiglia, che in questi anni hanno dovuto sopportare momenti difficili». Redazione Milano online21 dicembre 2012 | 17:10© RIPRODUZIONE RISERVATA
REAZIONE:UN PROCESSO INDEGNO DELL'ITALIA PORTATO AVANTI DAI PIU RANCI ESPONENTI DEL NEOLIBERALISMO ITALIANO (ERANO I TEMPI DELL'OFFENSIVA CONTRO LA NUOVA ERA DEI CLAN MORATTI-DELLA VALLE-BERLUCONI)CHE NON SI AVREBBE DOVUTO REALIZZARE:MAI E POI MAI LE RISORSE TECNOLOGICHE MESE A  DISPOSIZIONE DELLA CAUSA PUBBLICA POSSONO ESSERE RISPONSABILI DELLA CONDOTTA DI EDITORI E UTENTI."NON UCCIDETE IL MESSAGGIERE"!
UNA SENTENZA,AL DILA DEI PROTAGONISTI E DELLA PROPIA GOOGLE,DESTINATA A FARE STORIA IN ITALIA E IL MONDO:NE ESCE RAFFORZATA LA LIBERTA DI ESPRESSIONE,LA TECNOLOGIA DELLE TELECOMUNICAZIONI,LA SCIENZA E NATURALMENTE LA NUOVA ERA.E ARRIVA IN BUONA ORA:MI RACCOMANDO,NON SI RIPETA MAI PIU.